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Rispetto a un bacino idroelettrico di pompaggio, che si basa sullo stesso principio di portare a monte una massa per poi farla scendere a valle, questa tecnica ha una compattezza estrema che consente di piazzarla praticamente ovunque e senza richiedere trasformazioni radicali dell’ambiente, come per esempio dighe o altre opere ingegneristiche massicce, che possono rendere impraticabile o socialmente inaccettabile un sistema di accumulo di energia perché modificano il paesaggio, distruggono habitat o obbligano allo spostamento di popolazioni.
Rispetto alle batterie chimiche ad altissima capacità che si stanno sviluppando in vari paesi, come la Hornsdale Power Reserve da 100 MW/129 MWh di Tesla in Australia, già attiva dal 2017, la soluzione di Energy Vault ha il vantaggio di usare masse inerti, quindi prive di qualunque rischio significativo di incendi o inquinamento, di basso costo (addirittura è possibile usare materiali di scarto) e longeve (prive di deterioramento).
Ma ci sono alcune obiezioni interessanti:
- La massa necessaria va fabbricata, ed è tanta (alcune migliaia di blocchi per ogni impianto), e questo ha un impatto ambientale: i blocchi che vengono spostati devono infatti essere durevoli e robusti. Quanto inquinamento si genera nel fabbricarli?
- I blocchi vengono semplicemente accatastati, senza alcun legame strutturale a parte due perni di incastro alla base di ciascun blocco: quanto è stabile una torre del genere? In caso di eventi sismici, possono esserci delle conseguenze?
- I blocchi vengono sollevati, accatastati e calati usando lunghe funi: il vento che effetto ha su quello che è in sostanza un enorme pendolo? Sarà possibile accatastare con precisione i blocchi durante le giornate di forte vento? Che succede se un blocco va a sbattere contro la catasta?
Non ho trovato finora molti dati tecnici precisi sulle caratteristiche di questo impianto. Ogni blocco, secondo Energy Vault, rappresenta circa 1 MW di energia potenziale (“each of the bricks representing ~1MW of potential energy”). Secondo quanto riportato da Swissinfo, la torre attuale è alta appunto 60 metri e una torre da 120 metri può accumulare 35 MWh di energia elettrica, sufficienti ad alimentare per otto ore da due a tremila abitazioni.
Però c’è già un materiale a bassissimo impatto ambientale, disponibile in abbondanza, che si può usare (e si usa) per accumulare energia: è l’acqua. Se si scava un bacino sotterraneo (invece di sbarrare una valle con una diga) e lo si riempie d’acqua dotandolo di una condotta forzata in fondo, si crea un accumulo di energia potenziale sfruttabile. Invece di accatastare blocchi di cemento o altri materiali inerti, si solleva l’acqua e la si rimette nel bacino. Questo è il principio delle centrali idroelettriche a ciclo chiuso.
Si potrebbe obiettare che l’acqua ha una densità minore di un blocco di materiale solido, per cui i blocchi di Energy Vault dovrebbero essere molto più compatti di un sistema idroelettrico equivalente: ma un metro cubo d’acqua ha una massa di circa 1000 kg, mentre un metro cubo di cemento ha una massa di circa 2500 kg, per cui una massa d’acqua equivalente a quella di una torre di Energy Vault ha un volume due volte e mezza maggiore: non dieci o venti volte, ma due e mezza. Il guadagno in compattezza, insomma, non è sensazionale come si potrebbe invece pensare. Blocchi di materiale più denso migliorerebbero questo rapporto, ma sarebbero proporzionalmente più costosi.
L’acqua non è soggetta a scheggiature da impatto; non è afflitta da corrosione; non si deteriora per invecchiamento; non ha bisogno di essere accatastata con precisione. Per contro, richiede un recipiente che la contenga e impedisca perdite e infiltrazioni. Quel “recipiente” potrebbe danneggiarsi in caso di eventi sismici, con costi di riparazione potenzialmente altissimi.
C’è anche un video di Energy Vault che propone una struttura alternativa: non più a catasta libera ma a griglia. Un edificio contiene i blocchi e li solleva lungo binari. Questo risolverebbe il problema del vento e della stabilità, ma aumenterebbe i costi della struttura, che dovrebbe sopportare il peso di tutti i blocchi sollevati. Ciascun blocco pesa 30 tonnellate.
Resta però il problema della scalabilità: secondo i dati di Energy Vault, ci vuole appunto una torre da 120 metri per avere un accumulo di 35 MWh al costo di circa 9,3 milioni di dollari. La batteria australiana di Hornsdale, da 129 MWh (3,7 volte maggiore), è costata 65 milioni di dollari; un impianto equivalente di Energy Vault ne costerebbe (secondo l’azienda) circa 35 milioni. È decisamente conveniente rispetto alle batterie.
Ma se si fa il confronto con il costo di un impianto idroelettrico a ciclo chiuso le cose cambiano parecchio: un grande impianto da 24.000 MWh di accumulo come quello di Bath County, in Virginia, è costato 3,8 miliardi di dollari. Per farne uno analogo con il sistema di Energy Vault servirebbero 685 torri da 120 metri l’una, al costo complessivo di 6,3 miliardi di dollari: quasi il doppio. C’è un motivo per cui il 95% dell’accumulo energetico statunitense è basato sull’idroelettrico.
Sempre stando ai dati di Energy Vault, per alimentare Lugano (67.000 abitanti, 40.700 abitazioni) per otto ore servirebbero grosso modo da tredici a venti torri da 120 metri l’una.
Dove sta quindi il vantaggio della soluzione di Energy Vault? Sembra costare meno di un impianto a batterie. È più modulare e adatto ai piccoli impianti? Rende più facile ottenere approvazioni e permessi rispetto a un bacino idroelettrico sotterraneo? Come si risolvono le obiezioni tecniche? Ne avevamo discusso informalmente nei commenti a questo articolo a ottobre scorso: proviamo a parlarne in dettaglio nei commenti qui sotto, sulla scorta dei dati tecnici che ho raccolto. Ho contattato l’azienda per chiedere un commento pubblicabile.
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